Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
Per ulteriori informazioni, anche su controllo dei cookie, leggi qui:
Informativa sui cookie
Sono pendolari o migranti in arrivo dalle zone rurali, spinti verso le metropoli dal bisogno di aggiungere un salario alla resa dei terreni, disposti a ogni compromesso. Per loro nessun salvagente, niente tutela sindacale, invisibili anche ai radar dalla politica, rimasta a guardare quando, poche ore dopo lo squillo di tromba di Narendra Modi, a milioni si sono avviati verso i villaggi di provenienza.
Allo stesso modo, nelle aree tribali più remote, questa tendenza si riverbera su alcuni gruppi ādivāsī nella forma di movimenti indipendentisti, anche armati, decisi a perseguire rivendicazioni territoriali ben precise, per poi istituire uno Stato delineato sull’identità etnica.
Qui, il 31 luglio 2009 gli uomini dell’Esercito di Liberazione Popolare hanno compiuto un’incursione chiaramente provocatoria: un gruppo di soldati cinesi è penetrato in territorio indiano per 1.500 metri, marcando massi e rocce con scritte di vernice rossa riportanti la parola “China”.
Capita così, quasi per caso, nell’autunno del 2018. Ricevo una, anzi tre proposte destinate ad aprire nuove prospettive di vita e, non da ultimo, ad avvicinarmi al mondo della conduzione dei viaggi. Sono da poco tornato in Kinnaur e Spiti, nell’Himalaya indiano, per dedicarmi alla fase conclusiva di un lungo lavoro sul campo iniziato nel 2003.