Di Emanuele Confortin
14 Marzo 2016. In viaggio. Tra settembre e ottobre 2015 avevo risalito l’enorme spazio compreso tra la Turchia meridionale e l’Europa sud-orientale, precisamente dalla città di Urfa, a ridosso del confine siriano, sino in Italia, via Grecia e Balcani. Lungo la strada ho avuto modo di incontrare moltissimi migranti in fuga dai conflitti più gravi del nostro tempo, in particolare Siria, Iraq, Afghanistan, Nigeria e moltissimi altri. Di confine in confine, dalla Turchia all’Area Schengen, il flusso ininterrotto di decine di migliaia di uomini, donne e bambini creava un continuum tra l’Europa, incapace e distratta, ed una vasta porzione di mondo sconvolto ormai da violenze sistematiche.
Oggi sono tornato sul campo. Sempre con lo stesso zaino, la fidata reflex e una modesta videocamera che possa permettermi di arricchire le modalità di osservazione, di ascolto, e di testimonianza giornalistica. Tornato sul campo, ma in direzione contraria, verso sud: da Skopje, capitale macedone, a Salonicco, Idomeni, Atene, Lesbo in Grecia, fino in Turchia. Una volta qui, valuterò fino a che punto spingermi. In territorio turco, la situazione non è delle più semplici, soprattutto in prossimità’ del tormentato confine siriano. Nonostante il tempo trascorso, la guerra in Siria, fattore principale e determinante del flusso di migranti, si mantiene su un livello di estrema gravità, ben lontana da qualsiasi soluzione “pacifica”. Con il passare del tempo e l’inasprirsi del conflitto in tutta quell’area, sono scorsi anche e soprattutto fiumi di denaro, a partire dai 3 + 3 miliardi di euro pattuiti con Ankara per arginare l’emorragia di rifugiati e trattenerli in Turchia. Una soluzione che sembra avere più le caratteristiche di un effetto placebo utile a fini politici, piuttosto che rappresentare la ferma volontà a risolvere concretamente l’emergenza. Sono tornato anche per questo. Sono qui per capire cosa e quanto sia cambiato. Per cercare di vedere e dare voce ancora una volta a quelle vite “indesiderate” in fuga dai crateri delle guerre. Per capire come le negoziazioni tra Bruxelles e Ankara si scontrino con il moltiplicarsi di fili spinati in Europa orientale e la ri-designazione delle frontiere affidata a decisioni singole di paesi singoli.