Trieste, 4 Settembre 2012. Cari lettori di Indika, da un anno e mezzo stiamo seguendo con attenzione il lavoro di Monika Bulaj, straordinaria fotoreporter e scrittrice di origine polacca, residente da tempo in Italia, dove ha scelto di porre le basi della propria professione. Più volte abbiamo dato notizia di una sua mostra, di una conferenza, o semplicemente pubblicato un link al suo sito, per dare a tutti la possibilità di vedere e conoscere il lavoro di Monika, basato su un rigore e un’etica professionale che meritano tutta la nostra ammirazione. Dal Medioriente all’Afghanistan, dal Tibet ai Balcani, l’approccio di Monika Bulaj è semplice: stare con la gente per raccontare la gente. Nessun affiancamento militare, niente giubbotti anti-proiettile, ma solo esperienza, naso e quel savoir-faire che si affina sul campo, fronteggiando le difficoltà a viso aperto, magari “fingendo di essere una turista sprovveduta”, così come mi ha raccontato durante un incontro, per sottrarsi a qualche minaccia. Nei prossimi giorni, più precisamente dal 7 al 9 settembre, Trieste ospiterà un’ importante rassegna di eventi sull’Afghanistan, che graviterà attorno alla mostra di Monika Bulaj “Nur Luce”. Non ‘solo’ fotografia però, ma anche video, seminari, presentazioni di libri e incontri con autori, giornalisti, operatori umanitari, tutti indistintamente legati all’Afghanistan, alle sue storie e ai suoi drammi. Noi di Indika ci saremo, ma l’invito è aperto a chiunque intenda conoscere un Afghanistan poco o mai citato nei servizi televisi, un mondo cruento e difficile, dove tuttavia continua ad ardere la voglia di vivere, accendendo ogni giorno luci di speranza.
Pubblichiamo qui di seguito il comunicato stampa dell’evento, con il programma dettagliato della rassegna, e tutti i dettagli del caso.
“Nel giardino luminoso dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione”.
NUR/LUCE. Appunti afgani è una mostra della fotoreporter Monika Bulaj, che dopo essere stata presentata a Venezia nella Loggia di Palazzo Ducale e a Roma alle Officine Fotografiche, viene ospitata a Trieste, nella suggestiva cornice dell’ex Pescheria – Salone degli Incanti, arricchita da nuove immagini e testi, interventi negli spazi aperti della città e un convegno tematico.
NUR/LUCE. Appunti afgani e’ un viaggio nell’altro Afghanistan, nelle parole di Monika Bulaj “Un viaggio solitario nella terra degli Afgani. Dividendo il cibo, il sonno, la fatica, la fame, il freddo, i sussurri, il riso, la paura. Spostandosi con bus, taxi, cavalli, camion, a dorso di yak. Dal confine iraniano a quello cinese sulle nevi del Wakhan, armati soltanto di un taccuino e una Leica, fatti per l’intimità dell’incontro. Balkh, Panjshir, Samanghan, Herat, Kabul, Jalalabad, Badakshan, Pamir Khord, Khost wa Firing. Uno slalom continuo per evitare i banditi targati Talib, seguendo la complicata geografia della sicurezza che tutti gli afgani conoscono. Parlando con gli afgani, ho scoperto che la guerra è una macchina miliardaria che si autoalimenta e che pur di funzionare arriva al punto di pagare indirettamente tangenti allo stesso nemico. Rifiutando di viaggiare con un’unita’ militare – ‘embedded’ – protetti da un elmetto in kevlar, ho ritrovato un mondo che, dalla Maillart a Bouvier, gli europei amarono e che ora, dopo dieci anni di presenza militare, abbiamo rinunciato a conoscere. La culla del sufismo e di un Islam tollerante che, lì come in Bosnia, l’Occidente si ostina a ignorare, un mondo odiato dai Taliban e minacciato dal nostro schema dello scontro bipolare. Un Paese nudo e minerale, dove un albero ha una maestà senza eguali e l’individuo non ha spazio per l’arroganza. Deserti dove il richiamo “Allah u Akhbar” suona più puro che altrove. Una terra abbacinante, dai cieli sconfinati, e così inondata di sole che bisogna rifugiarsi nell’ombra – interni, albe e crepuscoli – per ridare un senso alla luce, al fuoco, ai bagliori dello sguardo. Un Paese disperato, dove la donna è schiacciata dal tribalismo e l’oppio è la sola medicina dei poveri, ma dove una straniera può essere accolta in una moschea e l’incantamento dello straniero è vissuto come una benedizione. Una terra dove si rischia la vita solo andando a scuola e dove nelle periferie disperate i bambini si svegliano alle quattro del mattino per andare a prendere l’acqua con gli asini. Ma anche un Paese d’ironia, capace di ridere nei momenti più neri, rispettoso degli anziani, perfettamente conscio che il solo futuro possibile sta nella scuola, e nei bambini che domani saranno uomini”.
NUR/LUCE. Appunti afgani è una raccolta di immagini di grande qualità: oltre all’impeccabile aspetto tecnico/compositivo delle fotografie, realizzate indistintamente in colore e bianco e nero, spicca la sensibilità dell’autrice, che crea una serie di immagini intense, raffinate, vissute e coraggiose come l’impresa stessa. Rifiutando di viaggiare con i militari come fotografa ‘embedded’, Monika Bulaj è riuscita ad “entrare” e a mescolarsi con la gente e le tradizioni dei luoghi visitati, siano essi villaggi kirghisi che città – spettro come Kabul, ottenendo completa fiducia, tanto da riuscire a scattare anche in situazioni particolarmente delicate come ospedali, moschee, bagni pubblici, palestre, scuole e prigioni. Il suo lavoro inoltre mette in luce un altro Afghanistan, spesso nascosto dagli stereotipi e mascherato dai pregiudizi, quello delle donne, raccontate attraverso scatti che catturano le loro espressioni più autentiche.
Dagli appunti di viaggio di Monika Bulaj “Kabul nelle notti d’inverno, il suo arcipelago di villaggi abusivi senza fogne, elettricità, dove i bambini si alzano alle quattro del mattino per conquistarsi la loro pesante tanica d’acqua. Le cerimonie cantate dei sufi, i riti di magia per compensare l’assenza di medicine, i villaggi interamente di oppiomani, perché non esiste altra difesa dal dolore. Le spose vendute per debiti, gli hamman maschili, il culto del corpo del guerriero afgano del XXI secolo nelle body-gym, il dramma della nuova epidemia delle auto-immolazioni e delle mine anti-uomo, che aumentano anziché diminuire. Il lavoro solitario e unico di Emergency e dell’ICRC di Alberto Cairo, e poi i riti clandestini sciiti, le lettere con minaccia di morte affisse di notte dai talebani alla porta di chi osa mandare le proprie figlie a scuola. Le prigioni minorili dove vengono gettate le adolescenti fuggite dai matrimoni forzati o le case rifugio dove esse si nascondono dalla prigione, dalla vendetta dei clan e della loro stessa famiglia. L’abbiamo guardato tutto questo non dall’oblò di un blindato ma con l’occhio dell’afgano che lo guarda dalla strada. A chi importa dei Kuchi, ultimi nomadi e ultimi degli ultimi, privati dei loro pascoli e ridotti a larve nelle città, in case-buche dove metà dei neonati non sopravvive all’inverno? Ma forse oggi tutti gli afgani stanno diventando kuchi, displaced people, seduti sui loro fagotti in attesa di una fuga impossibile. Un popolo, nonostante questo, capace di ridere e di giocare con passione, ascoltare musica e ballare, cantando a voce alta. Ed ecco il barbiere allegro che fu Osama Bin Laden in una fiction televisiva, il gioco d’azzardo attorno a eserciti di pulcini in guerra nel teatrino del quartiere, le risa intorno alle lotte rituali tra cammelli. Le famiglie dei talebani al fronte, i capi assassini pentiti, le bambine nomadi prostitute, la lotta senza speranza dei kirghisi e degli sheva sulle montagne desertiche del Nord. E poi il continente femminile, le donne, i loro sogni, le aspirazioni, la lotta contro la depressione e l’autorealizzazione in un soffocante contesto tribale. Una panoramica di un Paese che rompe i nostri pregiudizi, le paure e i tabù”.
E ancora, così Monika Bulaj descrive il progetto triestino “La Vecchia Pescheria, con il suo odore di alghe e conchiglie e i riflessi dorati d’acqua su pietra nera, non era il cuore segreto di Trieste? Affettata da raggi di luce, maestosa e trasparente, poteva sembrare il Partenone di questa Vienna sull’Adriatico. Oppure l’agorà di pescatori con facce arrostite come zucche, massaie austriache ed ebree, contadine slovene e governanti greche. E, poi, il ginnasio, dove nel brusio di voci confuse, nel bordone dei richiami, i bambini imparavano i nomi di pesci, barche e venti. I triestini la chiamavano Santa Maria del Guato. Vi siamo entrati come si entra in una basilica, cercando istintivamente l’altare, le colonne e le navate. Abbiamo creato un’installazione minimale, l’impalcatura trasparente di un tempio non finito, come in una città sotto assedio, dove gli abitanti hanno dimenticato i loro sogni, oppure gli sono mancate le forze. L’abbiamo riempita con voci di bazar e strade di Kabul, con pianto di donne, canti di bambini e mistici sufi. Ululati, nitriti, belati del grande silenzio dell’Hindukush e del Pamir. I volti degli afgani si sono adagiati con naturalezza nelle nicchie vuote dell’iconostasi quasi bizantina, già presente nella sua pianta originale. Ma si affacciano anche dalle finestre murate e sui giardini incolti nei vicoli della Città. Passano le soglie delle porte sbarrate, abitano case abbandonate, si confondono con le ombre dei passanti. La loro è una presenza discreta, appena una traccia, un bisbiglio: sono i PASSAGGI AFGANI A TRIESTE. Ma la mostra, è anche e sopratutto un’occasione d’incontro con i grandi testimoni della storia afgana, ricercatori, giornalisti, diplomatici e medici. Alle loro storie verranno dedicate le tre giornate del convegno AFGHANISTAN, OLTRE IL GRANDE GIOCO, che si terrà nell’Auditorium dell’ex Pescheria – Salone degli Incanti dal 7 al 9 settembre, durante il quale si parlerà di spiritualità e antropologia, storia e attualità, guerra e quotidianità, con particolare attenzione alla questione giuridica e all’odissea dei profughi afgani in Europa”.
Interverranno:
PROGRAMMA
“AFGHANISTAN, OLTRE IL GRANDE GIOCO”
INCONTRI, TESTIMONIANZE, RIFLESSIONI, DOCUMENTARI E FOTOGRAFIE
Trieste, Auditorium dell’Ex Pescheria – Salone degli Incanti
7, 8 e 9 settembre 2012
Fondazione CRT
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